lunedì 21 ottobre 2019

Recensione "Nevernight. Mai dimenticare" di Jay Kristoff

Cari amici lettori,
siamo qui riuniti per parlare della serie fantasy più chiacchierata degli ultimi mesi nel mondo dell'editoria. O meglio, per parlare del primo volume di questa serie (beccata! gli altri due li devo ancora recuperare!), perchè sapete... io ai fenomeni editoriali ci arrivo con i miei tempi. Lunghi, lunghissimi, interminabili tempi. Ma ci arrivo.

Che poi com'era il detto?
Chi va piano va sano e va lontano.

E mesi dopo eccoci qui.


Titolo: Nevernight. Mai dimenticare
Autore: Jay Kristoff
Editore: Oscar Mondadori
Data di pubblicazione: 3 Settembre 2019
Prezzo: € 20,00
Trama: Destinata a distruggere imperi, Mia Corvere ha solo dieci anni quando riceve la sua prima lezione sulla morte. Sei anni dopo, la bambina cresciuta tra le ombre si avvia a mantenere la promessa che ha fatto il giorno in cui ha perso tutto. Ma le possibilità di sconfiggere nemici così potenti sono davvero esili, e Mia è costretta a trasformarsi in un'arma implacabile. Deve mettersi alla prova tra i nemici - e gli amici - più letali, e sopravvivere alla protezione di assassini, mentitori e demoni, nel cuore stesso di una setta dedita all'omicidio. La Chiesa Rossa non è una scuola come le altre, ma neanche Mia è una studentessa come le altre. Le ombre la amano. Si nutrono della sua paura.



RECENSIONE 

Facciamo qualche premessa, che per una serie come Nevernight mi sembra d'obbligo. Tutto quello che leggerete è frutto della mia mera opinione personale (c'era bisogno di dirlo?), si riferisce esclusivamente al primo volume (cambierò idea nei successivi?) e più che una recensione sarà una risposta a tutto ciò che ho visto/letto/ascoltato finora. Insomma, sarà il caos più totale.

Siete pronti?
Bene.
Perchè non so come dirvelo.
Ecco...
Beh...
Ok ragazzi...
Lo dico eh...
Vado!


TUTTO QUELLO CHE VI HANNO DETTO SU NEVERNIGHT È UNA MENZOGNA.



GIÁ, UNA MENZOGNA.


E adesso vi spiego il perchè.

UNA SERIE INNOVATIVA

"Leggete Nevernight! Finalmente un fantasy originale, diverso dagli altri, mai visto nulla di simile prima!"

MAAAA... ABBIAMO LETTO LO STESSO LIBRO?

E dire che io di fantasy ne ho letti davvero pochi, per me poteva essere davvero qualcosa di insolito, perchè in fondo non è che abbia tutta questa esperienza in fatto di storie e trame fantastiche. E invece, io che avrò letto tre libri in croce appartenenti a questo genere, più leggevo Nevernight, più lo paragonavo alle altre saghe che conoscevo. Coincidenze? Io non credo.

Analizziamo i fatti.

Abbiamo una protagonista vittima di un trauma infantile che deve convivere con i demoni del suo passato. Abbiamo una scuola, sì di assassini (evviva!), ma pur sempre una scuola in cui vengono praticate lezioni di combattimento, di veleni e di molto altro. Abbiamo una sala da pranzo comune in cui succedono cose. Abbia scale il cui numero di scalini cambia in continuazione. Abbiamo studenti che formano legami, amicizie e ostilità. Abbiamo un coprifuoco. Abbiamo morti. Abbiamo sfide, gare e segreti. Abbiamo un'ombra che all'occorrenza mi ricorda proprio un certo mantello dell'invisibilità. Abbiamo una protagonista con un dono che nessun altro personaggio possiede. Vedete qualcosa di nuovo in tutto questo? Io no.

UNA PROTAGONISTA SPIETATA

"Wow, Mia Corvere è un'antieroina! È crudele, spietata, assetata di vendetta!"

*IO CHE SBATTO LA TESTA CONTRO IL MURO*

Dicesi del termine antieroe [Wikipedia]: "L'antieroe (al femminile antieroina) è un personaggio protagonista in diverse opere narrative che manca di alcune tradizionali qualità dell'eroe, come altruismo, idealismo, coraggio, nobiltà e forza d'animo, bontà, oppure dimostra qualità opposte."

Ragazzi, ragazzi, ragazzi, non vi sembra forse che Mia Corvere sia esattamente l'incarnazione (e non la demonizzazione!) di tutte queste qualità?


Sì, cerca vendetta, ma non lo fa forse anche Laia ne "Il dominio del fuoco", per citare un fantasy qualunque? Eppure nessuno ha mai definito Laia un'antieroina. E anche a questo proposito la vendetta di Mia non si manifesta mai come furia cieca, al contrario! È la stessa Mia che, nel corso della narrazione, ricorda a se stessa e agli altri personaggi di non volere che questo suo desiderio di vendetta oscuri la propria umanità. Già, è proprio scritto nero su bianco tra queste 460 pagine di romanzo. E voi mi venite a dire che non ha scrupoli? Mia Corvere è il personaggio più umano, più morale, più solidale e sensibile che troverete in questo romanzo. "Eh, ma uccide delle persone!" Santissimi Numi, certo! È un'assassina! Cosa vi aspettavate che facesse? La maglia?

LA PAURA DI MIA

"Sapete, c'è questo non-gatto, Messer Cortese, che si nutre della paura di Mia trasformandola in un personaggio coraggioso ma incosciente!"

AH SÌ?

Cavolo, questo aspetto mi intrigava tantissimo. Avevo un sacco di domande che mi frullavano in testa e a cui speravo di trovare risposta. Cosa ci spinge a fare o a non fare la paura? Se qualcosa si nutrisse costantemente del nostro timore, quali sarebbero le conseguenze? Sarebbe un bene o un male? La mancanza di paura rende Mia estremamente coraggiosa, ma per come è stato strutturato questo personaggio, per tutto il romanzo ho avuto la sensazione che Mia avrebbe compiuto le stesse scelte anche senza Messer Cortese al suo fianco. Sospetto confermato dal fatto che molte sue azioni finivano per essere compatibili con quelle degli altri personaggi. Insomma, nulla che una protagonista di carattere non avrebbe fatto. E non dimentichiamo che il coraggio richiede inevitabilmente un pizzico di incoscienza.

VOLGARITÁ, VIOLENZA E SESSO

"Se odiate il linguaggio volgare state alla larga da Nevernight! Ne è pieno!"
"Caspita che scene violente! Omicidi, sangue, battaglie!"
"Io vi ho avvisati, qui ci danno dentro come conigli!"

DOVE DEVO FIRMARE PER ENTRARE ALL'INFERNO?

Questa era una delle principali ragioni per cui non volevo leggere Nevernight. Ero attirata dall'idea di una saga senza precedenti, ma poi quando ho sentito di tutti questi elementi che stridevano con la mia idea di lettura piacevole, ho creduto che avrei abbandonato il libro dopo appena qualche pagina. Le volgarità e le scene di sesso buttate random solo per fare mole proprio non riesco a mandarle giù.

Ma indovinate un po'? Ancora una volta è quasi tutta fuffa.

Ora, non è che non ci sia un fondo di verità in queste parole, ma la realtà è un po' diversa da come ve l'hanno descritta.

Innanzitutto la volgarità viene usata a sproposito solo in poche pagine, niente di ingestibile. Ricordo di aver maledetto Jay Kristoff al capitolo 36 per l'uso esagerato e inappropriato di parolacce non richieste e di termini poco eleganti, ma dopo 430 pagine ho pensato che uno sgarro potevo pur concederglielo. Il resto del romanzo non è certo casto e puro, ma la scelta lessicale dell'autore è sempre appropriata al contesto e mai ridondante. Insomma, le volgarità sono presenti, ma non al punto di contarne tre per riga e di sentirne il peso sulla narrazione, ma semplicemente per rendere più vivida la scena.

La questione della violenza è forse l'elemento più fedele alla realtà dei fatti. È un libro crudo, splatter? Sì, in alcuni punti senza dubbio, ma anche qui non in maniera esagerata e costante. Ripensando all'intero libro c'è forse una sola scena che mi ha destabilizzata, la stessa scena che però mi ha fatto anche pensare "finalmente! ecco la vera natura di una setta dedita all'omicidio!", per cui è quasi "normale" aspettarsi violenza in un romanzo di questo tipo. Per il resto, se pensiamo che ci siamo approcciati a una trilogia che parla di assassini, vi assicuro che per noi che apparteniamo alla categoria "deboli di cuore" non c'è nulla di così scioccante. Anzi, spesso vi sembrerà di leggere di agnelli, invece che di lupi. [*coff,coff vedi Naev coff,coff*]

Parliamo poi delle famigerate scene di sesso? Ero già pronta a saltare pagine su pagine perchè sembrava che la storia prolificasse di scene piccanti in ogni dove e, ovviamente, trattandosi di un fantasy non è certo quello a cui un lettore è interessato. Allora, beh, ho deciso di contarle per dar credito a questa teoria. 

E sapete quante ce ne sono? DUE.

D-U-E.

D

U

E. 

Io ero tipo "ah, tutto qui?".
Ah, se posso dirvelo sono pure ben scritte. Bravo Jay Kristoff.

COLPI DI SCENA

"Nooooo raga, ci sono certi colpi di scena che vi manderanno fuori di testa! Jay Kristoff è un maestro in questo!"

QUANDO SONO COSÌ CONFUSA CHE MI COLPISCO DA SOLA.

Qui le cose sono due: o nella mia vita passata ero un abile investigatore oppure il mio trisavolo era un lontano parente di Sherlock Holmes e ho ereditato il suo acume. Perchè amici, in questo libro è. tutto. così. dannatamente. prevedibile. e quello che non è prevedibile, quello a cui non eravate arrivati e che vi ha fatto sobbalzare dalla sedia, quelle due piccole bombe sganciate là in mezzo al nulla, ma che hanno fatto un rumore enorme, beh... sono le rivelazioni più assurde e insensate che leggerete mai. Ma io, che in fondo un po' mi sono affezionata a zio Jay e al mondo di Nevernight, accetterò queste assurdità e leggerò Godsgrave per scoprire fino a dove Kristoff può spingersi.

RITMO E STILE DI SCRITTURA

"Aspettatevi un ritmo lento, un stile pomposo, una narrazione artificiosa e barocca, ma che si fa leggere senza troppi intoppi."

DIN DIN DIN, ABBIAMO UN VINCITORE!

Finalmente un'affermazione in cui mi ritrovo.

Sappiate che nelle prime cento pagine circa non capirete niente. E va bene così, ci siamo passati tutti. Le domande "ma perchè l'ho iniziato?", "che faccio, vado avanti o torno indietro?", "ma siamo nel presente o nel passato?", "ci capirò mai qualcosa?", si affolleranno nella vostra testa, ma voi siate stoici e proseguite nella lettura. A un certo punto diventerà più comprensibile, ve lo prometto.

La parte centrale ve la godrete senza pensieri. Vi sembrerà di essere tornati indietro nel tempo, proverete delle sensazioni familiari, come di calore, e sorriderete per l'irriverenza del narratore. Un'ironia che forse non piacerà a tutti, ma che io ho indiscutibilmente apprezzato.

Nell'ultima parte dovrete ingranare la quinta, altrimenti Jay Kristoff vi lascerà indietro. La narrazione diventa rapida e incalzante, scene rocambolesche, eventi che si susseguono a un ritmo così frenetico che dovrete prendervi delle pause per non perdervi dei pezzi. Io vi ho avvisato!

Il narratore, che a quanto si dice è un vero e proprio personaggio del libro (quale non l'ho ancora scoperto!), è in terza persona , ma in fin dei conti fa un po' quello che gli pare (beato lui!), rivolgendosi di tanto in tanto direttamente al lettore. Io, che come ben sapete odio la terza persona perchè non mi permette di entrare in modo completo nella storia, questo narratore l'ho proprio amato.

Dopo il flop che era stato per me "Illuminae", credevo avrei messo una pietra sopra a qualunque libro scritto da Jay Kristoff, e invece con Nevernight ho rivalutato completamente il suo stile di scrittura. E a pensarci bene, l'elemento di originalità di questa saga sta proprio qui: nel modo in cui è scritta, un modo che - questa volta devo dar ragione alle voci di corridoio - non credo sia fatto per tutti.

LE NOTE

"Ah, le note mi hanno steso. Stupende, divertenti, interessanti!"

E DIRE CHE PER ME DIVERTENTE ERA SALTARLE, LE NOTE.

Ci ho provato, parola di lupetto che ho provato a leggerle. All'inizio mi sono sforzata, ma dopo credo tre pagine (ops!) ho deciso che avrei saltato tutte quelle note più lunghe di una riga, che beh... sono praticamente tutte! Un po' perchè se stai leggendo A è davvero irritante doverti fermare a leggere B, un po' perchè queste famigerate note non sono altro che storie di miti, leggende ed eventi storici passati di cui a me non fregava una beneamata fava e che mi procuravano una fulminea forma di narcolessia dopo tre secondi. Ma questo è un problema che ho da sempre con le note, per cui in verità il mio consiglio è quello di leggerle. Durante o dopo che avete finito il capitolo, al termine del romanzo, mentre mangiate, sotto la doccia, leggetele quando vi pare, ma fatelo. Vi daranno una conoscenza più approfondita del world building creato da Jay Kristoff e tirerete qualche improperio in meno quando non capirete cosa state leggendo. Fidatevi!

E QUINDI? COSA NE PENSI DI NEVERNGIHT?

Penso che sia un saga dalle premessa valide, ma che sia stata presentata nel modo sbagliato. Non è un miracolo editoriale (quanto più un miracolo del marketing) e ancora non capisco da dove vengano fuori tutte queste dicerie, ma è una storia che sa sicuramente farsi apprezzare. È una storia accattivante, che si ciba di vendetta e misteri, di sangue e di legami proibiti.

Nonostante sia consapevole dei suoi difetti, Nevernight ha sicuramente attirato la mia attenzione e, visto il desiderio con cui sto aspettando di avere tra le mani il secondo volume, non posso fare a meno di consigliarvela. L'importante è che partiate consapevoli di cosa avete tra le mani, così facendo non potrete rimanerne delusi.



"Mai tirarsi indietro. Mai avere paura. E mai, mai dimenticare."



venerdì 16 agosto 2019

Recensione "Più forte di ogni addio" di Enrico Galiano

Buongiorno lettori, come state?

Quasi due mesi fa scrivevo la bozza di questa recensione.
Oggi, presa dalla nostalgia, l'ho ripresa in mano, tentando maldestramente di correggerla.
Il risultato è la recensione di un libro che mi ha nettamente diviso a metà.




Titolo: Più forte di ogni addio
Autore: Enrico Galiano
Editore: Garzanti
Data di pubblicazione: 18 Aprile 2019
Prezzo: € 17,90
Trama: È importante dire quello che si prova, sempre. È importante dirlo nel momento giusto. Perché, una volta passato potremmo non trovare più il coraggio di farlo. È quello che scoprono Michele e Nina quando si incontrano sul treno che li porta a scuola, nel loro ultimo anno di liceo. Nina sa che le raffiche di vento della vita possono essere troppo forti per una delicata orchidea come lei: deve proteggersi ed è per questo che stringe tra le dita la collanina che le ha regalato suo padre. Per Michele i colori, le parole, i gesti che lo circondano hanno un gusto sempre diverso dal giorno in cui, cinque anni prima, ha perso la vista. Quando sale sul treno e sente il profumo di Nina, qualcosa accade dentro di lui: non sa che cosa sia, ma sente che lo sta chiamando. Ogni giorno, durante il loro breve viaggio insieme, in un susseguirsi infinito di domande e risposte, fanno emergere l'uno nell'altra lo stesso senso di smarrimento. Michele insegna a Nina a non smettere di meravigliarsi ogni giorno. Nina insegna a Michele a non avere rimpianti, che bisogna sempre dare l'abbraccio e il bacio che vogliamo dare, dire le parole che non vediamo l'ora di pronunciare. Ma è proprio Nina, quando un ostacolo rischia di dividerli, a scegliere di non dire nulla. Di fronte al momento perfetto, quello in cui confessare che si sta innamorando, resta ferma. Lo lascia sfuggire. Nina e Michele dovranno lottare per imparare a cogliere l'istante che vola via veloce, come la vita, gli anni, il futuro. Dovranno crescere, ma senza dimenticare la magia dell'essere due ragazzi pieni di sogni.



RECENSIONE 

È qualche minuto che cerco le parole giuste per parlarvi dell'ultima fatica di Enrico Galiano.
Il fatto è che, più penso a ciò che ho scritto nella recensione de "Le parole che non ti ho detto" di Nicholas Sparks, più mi rendo conto di quante similitudini ci siano tra i due libri e le sensazioni ad essi legati.

E così che, per l'ennesima volta, mi sono lasciata ingannare da parole piene di sentimento e di amore, di dolore e di speranza. Più forte di ogni addio è infatti una storia intrisa di emozioni, una storia in cui Enrico Galiano dimostra la sua abilità di leggere dentro le persone e farle sentire meno sole. E questa è la terza volta che succede.


"Essere orchidee fa schifo per questo, perchè più lo sei e più ti senti ridicola, ti sembra di essere una bambina in confronto agli altri, tutti che sembrano sapere come si fa, cosa si deve dire, tutti che ti guardano con quegli occhi lì, hai presente come si guarda qualcuno che non ci arriva? Ecco, gli occhi degli altri sono forse il motivo per cui è più brutto essere orchidea, vedere che ti guardano come una specie di pazza, qualcuno di più sfortunato, qualcuno che non sa come si sta al mondo e che si ostina a non impararlo, Dio, che invidia per tutti quei soffioni, tutti quei soffioni là fuori che gli possono dire quello che vogliono e loro niente, che non stanno male per uno sguardo in più o in meno, che non soffrono per cazzate come la stupida deficiente orchidea, loro se ne crescono per i fatti loro, dove vogliono loro, nascono e hanno già dentro quella forza che noi invece ci dobbiamo costruire da noi, pezzo dopo pezzo, la forza di non sentire, di non stare sempre così male, e alla fine l'ho costruita, me la sono fatta da me, ho deciso di diventare soffione e sono diventata soffione."

La verità è che le citazioni, quelle belle, quelle in cui non puoi fare a meno di rispecchiarti, sono da sempre il mio punto debole. Condite la storia di parole che mi facciano sentire capita e compresa e mi conquisterete. Per questo ero entusiasta di leggere Più forte di ogni addio e lo sono rimasta per tutta la prima metà del libro: perchè, come vi ho raccontato poco fa, Enrico Galiano è un maestro in queste cose.

L'autore propone una storia originale e forte, una storia con un tema delicato e onesto, approcciandosi ad esso come se si trattasse di una conversazione tra amici. Lo stile di scrittura è semplice e lineare, a volte forse fin troppo, al punto da risultare a tratti banale. Durante la lettura mi sono domandata più volte se l'autore avesse scelto di utilizzare un lessico così colloquiale in modo consapevole; ho pensato che, forse, in questo modo per lui sarebbe stato più facile raggiungere il pubblico a cui il libro è implicitamente rivolto. Dal testo, infatti, è chiaro l'intento di Galiano di comunicare con i più giovani, seppur Più forte di ogni addio sia un romanzo capace di abbracciare lettori di qualunque età.

I due protagonisti, Nina e Michele, sono due personalità estremamente dinamiche e scoppiettanti, ma nelle interazioni con gli altri personaggi si trasformano in eroi decisamente inverosimili.

Nina, ad esempio, racconta le vicende che l'hanno portata ad entrare nella vita di Michele a una tatuatrice conosciuta pochi minuti prima. Per carità, ho amato Flo [la suddetta tatutatrice] e la sua irriverenza, spesso mista a fragilità, ma se penso alla vita vera non sarebbe una scena credibile. Nina è un personaggio che si fa amare per la sua schiettezza e il suo coraggio, si fa apprezzare per la sua insicurezza e il suo amore e piano piano, senza rendertene conto, te ne sei innamorata. Ma poi apri gli occhi e, quando giungi alla seconda metà del libro, ti rendi conto che Nina non è ciò che sembra e l'autore non fa niente per sottolineare la complessità di questo personaggio, al contrario la esalta. Ed è qui che ho iniziato ad allontanarmi dal romanzo. Perchè Nina non è altro che una psicopatica, un personaggio profondamente disturbato e per niente sano, che avrebbe bisogno di un grande aiuto psicologico. Ma a quanto pare nessuno, autore incluso, lo ritiene necessario. È un fatto evidente che Nina non stia bene, che sia "malata" e lo dimostra con un atto tanto eclatante quanto stupido, un atto che viene innalzato come un eroico gesto di amore, ma che non è altro che un chiaro segno di instabilità. E qui, Enrico Galiano, ha sbagliato alla grande.




Dall'altra parte abbiamo Michele, un personaggio costruito ad hoc per entrare in empatia con il lettore e affrontare il tema della cecità. Michele, infatti, ha perso la vista in seguito ad un incidente d'auto e convive da anni con questa condizione. E diciamolo, questo è pressochè l'unico motivo per cui mi sono avvicinata al libro: capire cosa significhi vivere con questa disabilità. E sapete una cosa? Non ho scoperto nulla di nuovo, perchè quali siano le conseguenze e le difficoltà che la cecità di Michele comporti non viene approfondito: una condizione che dire che è stata trattata superficialmente è dire poco. Il fatto è che per Michele sembra sempre tutto così "facile" (passatemi il termine), come se l'essere cieco non gli creasse nessun impedimento, al massimo giusto qualche figura imbarazzante. Tutto viene dato per scontato, non viene avanzata nessuna spiegazione e io certe cose volevo proprio saperle, tanto che in testa avevo sempre la stessa domanda "ma come avrà fatto a farlo?".



Chissà.


L'aspetto della cecità, poi, non è l'unica questione lasciata aperta. Di dove sia finito il padre di Michele non è dato saperlo (o forse mi son distratta io?). Del perchè la madre di Nina faccia una guerra tanto ostica nei confronti di Michele neanche. Ma, soprattutto, c'è un evento particolare alla fine del libro, un evento che riguarda Nina, un colpo di scena assurdo (beh, mica poi tanto...) che sei lì e pensi "oh, finalmente qualcosa di buono" e NIENTE NIENTE NIENTE, da una pagina all'altra l'autore non ne parla più, se ne dimentica, lascia spazio alle ennesime azioni irrazionali e paradossali che concludono il libro in maniera vergognosa.

E ora mi ritrovo qui, ancora una volta a dover mettere insieme cuore e testa per riuscire a valutare in modo equo questo romanzo. Perchè sì, in fondo, sono state ore piacevoli quelle trascorse in compagnia della penna di Galiano, ma me la sento davvero di consigliarvelo? Nì. È un sì, se cercate una storia di adolescenti, di colpi di testa e di follie. Un no, se cercate tutto il resto.






lunedì 10 giugno 2019

Recensione "Le parole che non ti ho detto" di Nicholas Sparks

Buongiorno lettori,
sto cercando di scrivere un'introduzione da quasi un'ora, ogni volta mi dimentico come si fa. Ma poi in fondo penso: non è la ricerca di un'introduzione essa stessa un'introduzione? Sì, un po' come lo yogurt Muller.




Per cui signore e signori, amici e parenti, cani e gatti, siamo qui riuniti oggi per celebrare la recensione di un libro che avrei dovuto leggere molto tempo fa.

Per saperne di più, beh, sapete cosa fare!


Titolo: Le parole che non ti ho detto
Autore: Nicholas Sparks
Editore: Sperling & Kupfer
Data di pubblicazione: Settembre 2004
Prezzo: € 8,50
Trama: Durante una vacanza Theresa, un'affascinante giornalista in carriera, trova su una spiaggia una bottiglia che contiene una lettera: sono le strazianti parole di un uomo, Garrett, che ha perso la donna amata. Un messaggio che turba e commuove Theresa fino a spingerla a cercare chi lo ha scritto. Per una serie di coincidenze, il suo desiderio si avvera: lei e Garrett si incontrano e tra loro sboccia una passione travolgente. Che tuttavia non è al riparo dalle tempeste della vita. Un romanzo struggente che ha ispirato l'omonimo film con Kevin Kostner.



RECENSIONE 

Vorrei iniziare questa recensione citando un antico e saggio proverbio cinese: meglio tardi che mai. Va bene va bene, di cinese non c'è nulla (se non quel fantastico involtino primavera che mi sono scofanata a pranzo... non ditelo a nessuno mi raccomando!) ma sapete com'è, no? Ehm, no forse non lo sapete.

Dunque, andiamo subito al sodo. [non l'uovo eh! Mi sa proprio che ho qualche problemino con il cibo...]

Ebbene... 
*rullo di tamburi*
Ho letto il mio primo libro di Nicholas Sparks e mi è piaciuto!




Mi raccomando non troppo entusiasmo.


Ecco, io un po' eccitata lo sono, perchè vi devo confessare che Sparks è un autore che non mi ha mai attiratto più di tanto. Il motivo proprio non lo so. Ma poi è successo che mi è stato regalato questo libro nel periodo più nero possibile per la lettura, quello in cui ogni 10/15 pagine lette abbandonavo un libro per iniziarne uno nuovo, quello in cui ero diventata un blocco del lettore che cammina, quello in cui sembrava che nessuna storia fosse più capace di emozionarmi, finchè in un attimo Garrett e Theresa sono stati in grado di riportarmi alla vita.

Intendiamoci, "Le parole che non ti ho detto" è un libro pieno, pienissimo di difetti e mancanze e imperfezioni e il mio compito è proprio quello di analizzarle e di discuterne insieme, ma non posso ignorare le corde che Sparks ha saputo toccare.

Iniziamo quindi da qui, dai lati positivi di questo libro, prima che la parte razionale riesca a prendere il sopravvento.
Il fatto è che, ancora una volta, mi sono lasciata abbindolare dalle emozioni. La scrittura di Sparks è, infatti, un frullato di sentimento, di cuore, di passione ed emotività. È un concentrato di eccitazione e turbamento, una combinazione di tenerezza e fragilità. Insomma, è l'emblema del mio solito punto debole: in fondo mi basta una matita e un post-it per essere felice.

Perciò ecco, se vi devo dire cosa mi è piaciuto de "Le parole che non ti ho detto", la lista si esaurisce in soli 3 punti:
1. La delicatezza e la sensibilità con cui viene portata avanti l'idea alla base del libro.
2. Jeb, padre del protagonista, ovvero l'unico personaggio con cui mi sono trovata concettualmente d'accordo.
3. Il finale, che è una vera e propria bomba.

Tutto il resto...
un grosso enorme gigantesco meh.

Anche qui i problemi principali sono facilmente individuabili. 

Il primo è la trama, che è completamente assente: non c'è ricchezza di contenuto, di vicende, nè di azione. Questo libro è un brodo che cuoce lento per 335 pagine e che non viene mai girato o insaporito da nuovi ingredienti. Ciò che ne consegue è una grande superficialità dei temi trattati.

Il secondo punto riguarda i due protagonisti, nonchè gli unici altri elementi che si possono analizzare all'interno di una storia tanto scarna.

Nei primi capitoli del libro Theresa trova sulla spiaggia una bottiglia che contiene una lettera: una struggente e straziante lettera d'amore che uno sconosciuto ha affidato alle cure del mare. Un grido d'aiuto tanto disperato quanto romantico, devastante, triste. Un grido che commuoverà Theresa a tal punto da spingere a cercare l'autore di quella lettera.


"[...]E con il cuore a pezzi rimango a guardarti mentre sparisci piano piano. Cerco disperatamente di ricordare ogni particolare di questo momento, ogni particolare di te. Ma presto, sempre troppo presto, la tua immagine svanisce e la nebbia ritorna da dove è venuta, e io resto solo sul molo e non m'importa di ciò che pensano gli altri mentre chino la testa e piango, piango, piango."

Certo, fino a qui tutto molto bello, se non fosse che il rapporto che si instaura tra i due protagonisti non è sano. Avete presente quando si dice "prima di poter stare con un'altra persona devi imparare a stare bene con te stesso"? Ecco, a quanto pare loro due questo detto non l'hanno mai sentito.

Garrett, soprattutto, è un'anima profondamente tormentata dal proprio passato e decisamente poco equilibrato dal punto di vista psicologico. Eppure l'autore ignora questo fatto e lo fa agire come se quella con Theresa fosse la storia d'amore più romantica e dolce di sempre. NO! NO! NO! Ripetete con me: non c'è niente di poetico in tutto questo. Garrett ha chiaramente bisogno di un sostegno psicologico e non solo per superare gli eventi traumatici che hanno segnato la sua vita, ma anche per lavorare sul proprio carattere. Non giriamoci intorno: Garrett è un uomo possessivo, appiccicoso e disturbato e renderlo l'autore di lettere d'amore che farebbero sciogliere anche un cubetto di ghiaccio dentro al freezer non servirà a nascondere questi problemi del suo carattere.

Per fortuna Theresa si presenta come un personaggio decisamente più maturo e strutturalmente valido, seppur non abbia empatizzato per niente con lei.

Inoltre il libro è pieno di dinamiche tra i vari personaggi del tutto inverosimili: dal primo incontro tra i protagonisti, all'insta-love, al modo in cui interagiscono Garrett e Kevin (il figlio di Theresa), ai vari spostamenti in aereo. Non c'è niente di credibile, niente di veritiero. Sfido chiunque a dirmi che nella realtà potrebbe succedere ciò che Sparks racconta.

Lo so cosa state pensando dopo questo interminabile sproloquio... "scusa Chiara, ma non avevi detto che il libro ti era piaciuto? Perchè sai, dopo tutto quello che hai scritto non sembra...". E invece sì, certo che mi è piaciuto.
Perchè un libro non si legge solo di testa, ma anche di pancia ed è quella che mi frega tutte le volte. È la pancia che mi spinge a dirvi che la bellezza di un libro, a volte, sta anche nelle sue imperfezioni, se le sensazioni e le emozioni che vi suscitano vi fanno star bene. E, nonostante tutto, leggere "Le parole che non ti ho detto" mi ha fatto star bene.




martedì 15 gennaio 2019

Recensione "Ti amo per caso" di Brittainy C. Cherry

Salve salvino lettori!
Nuovo giorno, nuova recensione ...eeeeeh macarena! Su, non siate timidi. Ballate con me!


Che si aprano le danze alla recensione più giffata di sempre!

Pronti?
3, 2, 1... VIA!



Titolo: Ti amo per caso
Autore: Brittainy C. Cherry
Editore: Newton Compton Editori
Data di pubblicazione: 12 luglio 2018
Prezzo: € 5,90
Trama: Mi avevano messa in guardia su Tristan Cole. «Stai lontana da lui», mi diceva la gente. «È crudele». «È freddo». È semplice giudicare un uomo dal suo passato. Troppo facile guardare Tristan e vedere un mostro. Ma io non potevo farlo. Ho riconosciuto il male che si portava dentro, perché era simile a quello che viveva in me. Eravamo due persone svuotate. Entrambi alla ricerca di qualcosa di diverso. Qualcosa di più. E insieme abbiamo deciso di provare a mettere insieme i frammenti del nostro passato. Poi, forse, potremo finalmente ricordarci di respirare.



RECENSIONE 

A volte capitano quei momenti in cui scopri un'autrice nuova, ti approcci ai suoi libri per curiosità e in una manciata di pagine ne rimani folgorata. Grazie alla dolcezza de L'amore arriva sempre al momento sbagliato e alla delicatezza di Hai bussato al mio cuore, credevo di aver trovato nella Cherry una penna originale, profonda, tagliente. Credevo di aver trovato la mia nuova autrice del cuore. Ma come spesso accade il mondo che credevi fatto di unicorni e arcobaleni si sgretola davanti ai tuoi occhi e ciò che rimane è la nuda e cruda realtà.

*I'M A DRAMA QUEEN*

Leggere Ti amo per caso è stato come farsi una doccia gelata. Ti aspetti di sguazzare nel delicato e soffice stile di scrittura a cui la Cherry ti ha abituato nei suoi precedenti libri e invece ti ritrovi immersa in dialoghi folli e personaggi paradossali. Non ho ritrovato nulla e dico nulla dei tratti tipici di questa autrice. 

E così mi sono chiesta perchè.

...

E così mi sono data una spiegazione.

E qui, amici miei, la spiegazione può essere una sola.

Ma sssshh... nessuno deve sentire!

Ecco, così! Avvicinatevi...

Sottovoce...

RAGA, SECONDO ME LA NOSTRA AMICA BRITTAINY ERA UBRIACA QUANDO HA SCRITTO QUESTO LIBRO! Ma per forza!


Ci sono anche le prove.

Il punto è che nelle prime 15 pagine, dopo aver sgranato gli occhi almeno 6 volte, capisci già cosa succede nelle prossime 300. Il punto è che i personaggi e le situazioni che vengono proposte sono l'apoteosi dei peggiori clichè di sempre. Il punto è che gli eventi e i comportamenti adottati rasentano la follia.

Ma andiamo con ordine.

Tu sei lì, che pensi di iniziare la tua nuova lettura e conoscere per la prima volta quei personaggi che ti terranno compagnia per giorni e SBAM! TUTTI MORTI! (p.s. non è spoiler). In una manciata di pagine scopri che 4 persone (in ben tre situazioni diverse!) ci hanno già lasciato. Qualcuno ha detto clichè? Numero 1 andato .

Ma va beh... facciamo finta di niente. E invece ci interessa proprio.




Un bel respiro e si prosegue la lettura. È giunta l'ora di conoscere i personaggi.
Adone freddo e tenebroso odiato dall'intera città: c'è .
Adone sopra citato che CASUALMENTE (e che caaaaso...) è anche il nuovo vicino di casa: c'è .
Damigella spezzata dal dolore: c'è .
Amica mangiatrice di uomini: c'è .

Ok, ok, analizziamo il contenuto allora.

Volgarità gratuite, linguaggio scurrile, allusioni al sesso ogni tre righe: ci sono .
Scene erotiche come se piovesse: idem con patate .

Così eh, per fare degli esempi.


PER ME È NO.

Eppure non posso parlarne solo in negativo, perchè la verità è che leggere Ti amo per caso mi ha anche regalato gioie. Le parole scivolano veloci sulla carta, i personaggi diventano pagina dopo pagina decisamente più simpatici, e in diversi punti si rischia anche di sentire le farfalle nello stomaco. Va bene, va bene, lo ammetto: non è che si rischia, io le ho sentite forte e chiaro! E quelle frasi... Oh, quante frasi che ho sottolineato! Le citazioni sono state la parte migliore di questo libro perchè, ancora una volta, in alcune mi sono rispecchiata e in altre vi ho visto dentro una grande dose di coraggio. Un vero e proprio attentato alla mia sanità emotiva insomma.

Sì, ci sono andata vicino.
Sono stata indecisa per giorni su come valutare questo libro, se lasciarmi tentare da un giudizio dato di pancia o basarmi su una riflessione accurata e razionale. È difficile riuscire a sconsigliare in modo categorico questo libro perchè, nonostante i tanti difetti che possiede (e fidatevi che ce ne sono), la Cherry resta capace di farti cadere nella sua trappola. Non è certamente il suo romanzo più riuscito, non è oggettivamente un libro valido dal punto di vista del contenuto, non spicca per originalità, ma sa intrattenerti, sa commuoverti, sa divertirti e sa tenerti compagnia e queste sono qualità che non tutti i romanzi hanno.

Perciò, se non avete mai letto nulla di questa autrice, il mio consiglio è di mettere momentaneamente da parte Ti amo per caso, perchè potreste farvi un'idea sbagliata delle capacità della Cherry, ma non rinunciate a conoscere questa giovane penna. Da dove iniziare quindi? Hai bussato al mio cuore, ma proprio a occhi chiusi.

Se invece conoscete già la sua penna vi dico buttatevi, leggetelo, ma con la consapevolezza di aver appena aperto un libro inevitabilmente e grossolanamente trash. Uomo avvisato... lo sapete, no? ;)

Alla prossima amici!







giovedì 27 dicembre 2018

Recensione "Danza o muori" di Ahmad Joudeh

Buongiorno lettori! 
In ritardissimo sulla tabella di marcia [ah, non sapevo neanche di averne una...] torno con una nuova recensione.
Com'è che si dice? Meglio tardi che mai, eh...

Dopo l'amore e la curiosità che una storia come Non stancarti di andare mi aveva suscitato, ho deciso che volevo approfondire ulteriormente la questione siriana, e così sono finalmente pronta a parlarvi di una delle mie letture di novembre.

Ehm, ehm,...

*colpo di tosse*

Sì, avete letto bene. Novembre.

Eppure, nonostante sia passato quasi un mese, la storia che Ahmad Joudeh mi ha raccontato è ancora vivida nella mia mente e non vedo l'ora di condividerla con voi.


Titolo: Danza o muori
Autore: Ahmad Joudeh
Editore: De Agostini
Data di pubblicazione: 6 novembre 2018
Prezzo: € 16,50
Trama: Danza o Muori è la storia – raccontata dalla voce stessa del suo protagonista – di Ahmad Joudeh, nato nel 1990 da padre palestinese e mamma siriana, e cresciuto nel campo profughi palestinese Yarmouk, a Damasco, in Siria.
Appassionato di ballo fin dalla più tenera età, Ahmad ha frequentato lezioni di danza in segreto a causa dell’opposizione del padre, che lo bastonava alle gambe per impedirgli di ballare. A rendere tutto ancora più difficile, la guerra (le bombe hanno distrutto la sua casa, il suo quartiere, e ucciso cinque membri della sua famiglia). Ma Ahmad Joudeh ha continuato a ballare e a studiare danza sul tetto della casa di amici, un muro come sbarra, tra le pallottole e le esplosioni non troppo lontane, e a dare lezioni di danza ai bambini del campo. Nel 2014 partecipa alla versione araba del reality ‘So You Think You Can Dance’: arriva in semifinale, ma non vince perché senza nazionalità. L’apparizione in questo programma lo rende celebre sia in Siria sia all’estero ma gli procura l’odio degli estremisti. Ma nemmeno questo lo ha fermato e negli ultimi anni Ahmad si è esibito sui palchi di tutta Europa, portando ovunque il suo messaggio di pace grazie a diverse performance dedicate ai tanti artisti meno fortunati di lui costretti a restare in Siria. Il suo sogno è fondare e dirigere il Syrian National Ballet in una Siria finalmente libera e pacificata.



RECENSIONE 

La prima volta che mi sono imbattuta nella storia di Ahmad è stato per caso. Ero sulla pagina del Circolo dei Lettori in cerca di un evento a cui partecipare e, tra tutti, mi ha colpito la sua presentazione. Non avevo mai sentito parlare nè di Ahmad nè del suo libro, non sapevo e non so nulla di danza, non avevo in apparenza nessun motivo per interessarmi alla sua storia. Eppure in poche righe ho sentito crescere dentro di me un sentimento a cui solo ora, a libro concluso, riesco a dare un nome: si trattava di una pura forma di solidarietà. E in un attimo volevo saperne di più.

Così, come spesso accade, ho iniziato a leggere Danza o muori carica di aspettative. Il mio desiderio era quello di conoscere meglio un paese così lontano e diverso dal nostro, attraverso gli occhi di chi quel paese l'aveva chiamato casa per tutta la vita. Il mio desiderio era quello di trovare la testimonianza di un uomo che aveva fatto della danza la sua vita e il racconto di come proprio la danza, emblema di coraggio e passione, simbolo di un sentimento tanto profondo da vincere sulle oscenità della guerra, l'avesse salvato. Ma questo desiderio è stato soddisfatto solo in parte.

Non nego che Danza o muori sia una storia di speranza, di forza, di coraggio, di amore, di passione, di caparbietà, di bisogno. Non nego sia una storia di paura, di atrocità, di sangue, di spari e di guerra. Ci sono state parti che mi hanno sconcertato, altre che mi hanno commosso, ci sono state scene che mi hanno segnato, altre che mi hanno spaventato. Racconti incredibili, allucinanti, surreali. Eppure, solo in pochi punti questo romanzo è stato capace di emozionarmi.

Sono tanti gli elementi che rendono un libro bello. L'intenzione, spesso, non basta. Il difetto più grosso che ho riscontrato sono stati i continui salti temporali. Un tipo di narrazione che io non riesco in alcun modo a digerire. Capite che diventa difficile riuscire a ricostruire la storia di un uomo quando si salta da un'età all'altra, e un po' si va avanti e un po' si torna indietro, senza riuscire a tenerne in mano il filo logico e cronologico. È tutto un "ma questo è successo prima o dopo della scena precedente?", "Aspetta... ma quanto tempo è passato dal fatto a cui si riferisce?", "Scusa, ma che età aveva quando è successo?". Caos, confusione, disordine. Una linearità ingenuamente distrutta.

Il secondo elemento negativo si basa sulla continua impressione che mancasse qualcosa. Questo perchè più leggevo le parole di Ahmad, più avevo la sensazione che si stesse esponendo solo a livello superficiale, tacendo gli aspetti più bui e dolorosi. Troppi pezzi mancanti, troppi cambi bruschi di capitoli, troppi ricordi accennati e non approfonditi. Posso solo immaginare quanto sia stato difficile per Ahmad raccontarsi al mondo, ma ciò non toglie che Danza o muori sia un libro e come tale ritengo sia mio dovere analizzarlo criticamente.

Date tutte queste premesse vi starete chiedendo se vi consiglio di leggerlo. Ovviamente sì, non posso rispondere altrimenti. Sì, sì, sì. Ed è un sì gridato a gran voce perchè, nonostante tutti gli elementi narrativi che possono non essermi piaciuti, questo libro vi sprona a diventare più consapevoli. E questa è una magia che non può essere ignorata. Leggetelo perchè vi arricchirà. E poi partite da lì per continuare ad esplorare e approfondire il mondo.


"Ecco, ora esisto. Dalle dita dei piedi a quelle delle mani, ciò che state vedendo è ciò che io sono davvero. E la mia storia balla con me: un grand jeté, per tutte le volte che mi è stato detto di non danzare,; un arabesque, preciso e saldo, per coloro che mi hanno umiliato ed emarginato; una pirouette per ogni volta che ho rischiato di morire, a causa delle vostre stupide guerre. Guardatemi tutti ora: vi sembra di avermi indebolito con le vostre minacce? Vi sembra che abbia abbassato la testa sotto il peso delle vostre armi? Forse da domani la mia vita diventerà ancora più complicata e il vostro odio nei miei confronti più violento. Ma, per oggi, ho vinto io."